giovedì 24 luglio 2014

La teoria dei cucchiai

Questo lungo scritto, che mi rappresenta in toto, sebnene io abbia una malattia ben diversa, appartiene a Christine Miserandino, ragazza affetta da Lupus Eritematoso, spiega cosa significhi vivere con una malattia cronica.
Grazie. Per la semplicità e la forza.

Spero possiate anche un minimo capire come vive una persona non sana.

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La mia migliore amica ed io eravamo nella sala da pranzo (dell’università) a parlare. Come di consueto era molto tardi e stavamo mangiando patatine fritte con salsa. Come delle normali ragazze della nostra età passavamo un sacco di tempo nella sala da pranzo, mentre eravamo all’università, e la maggior parte del tempo lo passavamo a parlare di ragazzi, musica o cose banali, che sembravano molto importanti al momento. Non parlavamo mai di cose serie e si trascorreva la maggior parte del nostro tempo a ridere.
Mentre mi accingevo a prendere alcune delle mie medicine con uno snack, come facevo di solito, lei mi ha fissato in modo imbarazzante invece di continuare la conversazione. Poi mi ha chiesto, tutto d’un tratto, come ci si sentiva ad avere il Lupus e ad essere malati. E’ stato sconvolgente, non solo per la domanda, ma anche perché pensavo lei sapesse tutto ciò che c’era da sapere sul Lupus. Era venuta dai medici con me, mi aveva visto camminare con il bastone e vomitare in bagno. Mi aveva visto piangere dal dolore, che cosa c’era da sapere in più?

Ho iniziato a rispondere in modo vago parlando di pillole, dolori, mali, ma lei continuava e non sembrava soddisfatta delle mie risposte. Sono rimasta un po’ sorpresa: come mia compagna di stanza al college e amica da anni, pensavo che già conoscesse la definizione medica di Lupus. Poi mi guardò con una faccia che ogni malato conosce bene, il volto della pura curiosità su qualcosa che nessuna persona sana può veramente capire. Mi ha chiesto che cosa si sentiva, non fisicamente, ma quello che sentivo ad essere me, ad essere malata.

Mentre cercavo di rimanere composta, mi guardavo attorno per un aiuto, o una guida, o almeno per guadagnare un po’ di tempo per pensare. Cercavo di trovare le parole giuste. Come facevo a rispondere a una domanda a cui non ero mai riuscita a trovare la risposta per me stessa? Come facevo a spiegare ogni dettaglio di ogni giorno trascorso da malato, trasmettere con chiarezza le emozioni che una persona malata prova. Avrei potuto rinunciare, cavarmela con una battuta come di solito avevo già fatto e cambiare discorso, ma ricordo che ho pensato: se non provo a spiegare tutto ciò, come posso poi aspettarmi che lei capisca. Se non riesco a spiegare questo alla mia migliore amica, come posso spiegare il mio mondo a chiunque altro?
Dovevo almeno tentare, ed è in quel momento che nacque la teoria del cucchiaio.

Rapidamente presi ogni cucchiaio che c’era sul tavolo e ne presi altri che erano su altri tavoli. La guardai negli occhi, le diedi i cucchiai e le dissi: “OK, tu hai il Lupus” .Lei mi guardò un po’ confusa come chiunque avrebbe fatto vedendosi consegnare un mazzo di cucchiai. I freddi cucchiai di metallo risuonarono nelle mie mani quando li raggruppai insieme e li misi nelle sue mani.
Le spiegai che la differenza tra essere malato ed essere sano è di dover fare delle scelte e pensare in maniera consapevole a cose cui il resto del mondo non deve pensare.
I sani hanno il lusso di una vita senza certe scelte, un dono che la maggior parte della gente dà per scontato.
La maggior parte delle persone iniziano la giornata con un numero illimitato di possibilità e l’energia per fare ciò che desiderano, in particolare i giovani. Non devono preoccuparsi degli effetti delle loro azioni. Così, per la mia spiegazione, usai i cucchiai per farle capire questo punto. Volevo qualcosa che lei potesse possedere, avere in maniera concreta, per avere poi la possibilità di toglierglielo, in quanto la maggior parte delle persone che si ammalano sentono la “perdita” di una vita che una volta avevano conosciuto. Se fossi stata in grado di toglierle i cucchiai, poi lei avrebbe capito come ci si sente quando qualcuno, o qualcosa, in questo caso il Lupus, ha il controllo di te.

Afferrò i cucchiai con entusiasmo, non capiva esattamente cosa stessi facendo ma, siccome è sempre pronta per qualcosa di divertente, penso si aspettasse che le stessi facendo una sorta di scherzo o qualcosa del genere, visto che così faccio quando parliamo di argomenti delicati. Non sapeva quanto io invece facessi seriamente.
Le chiesi di contare i cucchiai. Mi chiese perché, e le dissi che quando si è sani ci si aspetta di avere una infinita quantità di “cucchiai”. Ma quando,come ora, devi programmare il tuo giorno, è necessario sapere esattamente con quanti “cucchiai” si inizia la giornata. Questo non garantisce che non se ne potrebbero perdere alcuni lungo la strada, ma almeno aiuta a sapere da dove stai partendo. Contò 12 cucchiai. Rise. Mi disse che ne voleva di più.Le dissi di no e, quando mi guardò con disappunto, sapevo che questo piccolo gioco avrebbe funzionato, e non avevamo ancora iniziato.Io ho voluto più “cucchiai” per anni e non ho ancora trovato un modo per ottenerne di più, perché avrei dovuto dargliene di più? Le dissi anche di essere sempre consapevole di quanti ne aveva, e di non perderli, perché non può mai scordarsi che ha il Lupus.

Le ho chiesto di elencare tutte le cose che fa durante il giorno, comprese le più semplici. Come ha iniziato a elencarmi per esempio le faccende domestiche, o semplicemente cose divertenti da fare; le ho spiegato come ciascuna le sarebbe costata un cucchiaio. Quando ad esempio, come prima cosa del mattino, ha iniziato a prepararsi per andare al lavoro, l’ho fermata e le ho tolto un cucchiaio. Le sono praticamente saltata addosso e le ho detto: “No! Non puoi semplicemente alzarti!Devi aprire gli occhi e renderti conto che sei in ritardo. La notte prima hai dormito male. Devi scendere lentamente dal letto, e poi devi prepararti qualcosa da mangiare prima di poter fare qualsiasi altra cosa, perché se non mangi poi non puoi prendere le medicine, e se non prendi le medicine potresti anche dover rinunciare a tutti i tuoi cucchiai di oggi e anche di domani “.
 Le ho subito preso un cucchiaio e ha realizzato che non si era ancora vestita. Fare la doccia le è costato un altro cucchiaio, semplicemente per lavarsi i capelli e depilarsi le gambe. Avere alti e bassi così presto al mattino potrebbe costare anche più di un cucchiaio, ma ho pensato di darle una pausa, non ho voluto spaventarla troppo. Per vestirsi è servito un altro cucchiaio. L’ho fermata e le ho fatto smettere ogni cosa, facendola riflettere su come dovesse fare attenzione ad ogni piccolo dettaglio. Non si può semplicemente mettersi i primi vestiti che ti capitano quando si è ammalati. Le ho spiegato che io devo vedere quali sono i vestiti che posso mettere fisicamente quel giorno, se le mani mi fanno male quel giorno, di vestiti con i bottoni non se ne parla neanche. Se ho dei lividi quel giorno, ho bisogno di indossare maniche lunghe, e se ho la febbre ho bisogno di un maglione per stare calda, e così via. Se i capelli cadono ho bisogno di dedicargli più tempo per essere presentabile, e poi hai bisogno di 5 minuti perché ti senti male che ti sono servite 2 ore per fare tutto questo.

Credo che stesse iniziando a capire: non era neanche arrivata al lavoro che le erano rimasti solo 6 cucchiai. Le ho poi spiegato che aveva bisogno di scegliere cosa fare nel resto della giornata con saggezza, dal momento che quando i “cucchiai” sono andati, sono andati. A volte puoi prendere in prestito “cucchiai” dal domani, ma pensa a come sarà difficile domani con meno “cucchiai”.

Ho anche avuto bisogno di spiegarle che una persona che è malata vive sempre con l’incombente pensiero che domani può essere il giorno che ti viene un raffreddore o una infezione, o un qualsiasi numero di cose che potrebbero essere molto pericolose.
Quindi non vuoi rimanere con pochi “cucchiai”, perché non si sa mai quando ne avrai veramente bisogno. Non volevo deprimerla, ma avevo bisogno di essere realista, e purtroppo essere preparati per il peggio è parte di ogni mio vero e proprio giorno.
Abbiamo analizzato il resto della giornata, e lentamente ha appreso che saltare il pranzo le sarebbe costato un cucchiaio, come pure stare in piedi sul treno, o anche scrivere troppo a lungo al computer. E’ stata costretta a fare delle scelte e di pensare le cose in modo diverso. Ha dovuto scegliere di non eseguire commissioni, in modo da poter essere in grado di cenare.
Quando siamo arrivati alla fine della sua ipotetica giornata, ha detto che aveva fame. Le dissi che doveva cenare, ma anche che le era rimasto solo un cucchiaio . Se avesse cucinato, non avrebbe avuto abbastanza energie per lavare i piatti e le pentole. Se fosse andata fuori a cena, sarebbe potuta essere troppo stanca per guidare in sicurezza fino a casa. Poi le ho anche spiegato che non avevo aggiunto a questo gioco che alla fine della giornata era così stanca e con senso di nausea che di cucinare non se ne parlava neanche. Così ha deciso di farsi una zuppa, è stato facile. Ho poi detto: sono solo le 7, hai il resto della serata, e probabilmente ti è rimasto un cucchiaio, così puoi fare qualcosa di divertente, o pulire l’appartamento, o fare altre faccende, ma non puoi fare tutto.
Raramente l’avevo vista emozionata, così quando l’ho vista turbata sapevo che forse stavo toccando qualcosa dentro di lei. Io non volevo che la mia amica fosse sconvolta, ma allo stesso tempo ero felice di pensare che finalmente, forse, qualcuno mi aveva un po’ capito. Aveva le lacrime agli occhi, mi ha chiesto a bassa voce “Christine, come riesci a farlo? Veramente fai questo ogni giorno?” Ho spiegato che alcuni giorni erano peggio di altri, altri giorni avevo più cucchiai. Ma non potrò mai farlo andare via e non posso mai dimenticarmi di lui(Lupus), devo sempre pensarci. Le ho allungato un cucchiaio che avevo tenuto come riserva. Le ho detto semplicemente: “Ho imparato a vivere la vita con un cucchiaio in più in tasca, come riserva. È necessario essere sempre pronti”.
E’ dura, la cosa più difficile che ho dovuto imparare è di dovere rallentare, e non fare tutto. Lotto per questo ogni giorno. Odio questa sensazione di dover scegliere di stare a casa, o di non fare le cose che vorrei fare. Volevo che sentisse quella frustrazione.
Volevo che capisse, che tutto quello che ogni persona fa in modo assolutamente facile, per me sono cento piccoli lavori in uno. Devo pensare a che tempo fa, se quel giorno ho la febbre, e pianificare tutta la giornata prima di iniziare a fare una cosa.
 Quando le altre persone semplicemente fanno le cose, io devo come attaccarle, e fare un piano come se dovessi preparare una strategia di guerra. E’ in questo stile di vita, in questo modo di vivere la vita, la differenza tra essere malati ed essere sani. E’ la bellezza di avere l’abilità semplicemente di non dover pensare, di fare e basta.
Mi manca quella libertà.
Mi manca il non dover mai contare i “cucchiai”.
Dopo esserci entrambe emozionate ed aver parlato di tutto questo ancora un po’, ho sentito che era triste. Forse aveva finalmente capito. Forse aveva solo realizzato che lei non poteva veramente capire. Ma almeno adesso non si sarebbe lamentata così tanto quando alcune sere non posso andare fuori a cena, o quando non riesco ad andare a prenderla a casa e deve sempre essere lei a venire in macchina a casa mia. L’ho abbracciata quando siamo usciti dalla sala pranzo. Avevo quel cucchiaio in mano e le ho detto “Non ti preoccupare. Io vedo questo come una benedizione. Sono stata costretta a pensare a tutto ciò che faccio Sai quanti cucchiai le persone sprecano ogni giorno? Io non posso permettermi di perdere tempo, o sprecare “cucchiai”, e ho scelto di trascorrere questo tempo con te”.
Da quella notte ho usato la teoria del cucchiaio per spiegare la mia vita a molte persone. Infatti la mia famiglia e i miei amici parlano di cucchiai per tutto il tempo. E’ una parola in codice per quello che posso e non posso fare. Una volta che la gente capisce la teoria del cucchiaio, sembra capire meglio anche me, ma penso anche che poi vivono la loro vita in modo un po’ diverso. Credo che questa teoria non sia valida solo per comprendere il Lupus, ma per capire chiunque abbia una malattia o una disabilità. Spero che le persone non diano per scontate tutte queste cose, e la stessa loro vita in generale. Io do’ un pezzo di me, nel vero senso della parola, quando faccio qualsiasi cosa. E’ diventato come un gioco dentro di me. Sono diventata famosa per dire alla gente, scherzosamente, che dovrebbero sentirsi speciali quando passo del tempo con loro, perché hanno uno dei miei “cucchiai”.

giovedì 17 luglio 2014

Il dolore cronico

Oggi ho deciso di scrivere un post un bel po' più personale dei precedenti, in quanto vivo da anni una realtà pesantissima e mi rendo conto di quanto poco si sappia in giro a riguardo del dolore cronico.

Da 4 anni, infatti, dopo aver estratto due denti del giudizio, ma in particolar modo, dopo l'estrazione del primo, ho sviluppato una forma terribile di dolore cronico.

All'inizio il dolore era una forma di nevralgia trigeminale atipica cui si è sommata nel tempo una componente locale: un dolore acuto e persistente negli alveoli sede di estrazione.

Non mi voglio dilungare su quanto è successo, sulle terapie del dolore affrontate, sulle centinaia di medici visti in tutta italia, la morfina presa, i farmaci assunti, gli errori medici che si sommavano, le diagnosi non scritte...

Quello sui cui OGGI voglio portare l'attenzione è che il dolore cronico è una morta lenta dell'individuo.
Lo stress che comporta un dolore presente 24 ore su 24, quando mangi, dormi, vai al cinema, fai sport, fai l'amore, piano piano ti consuma dentro.

E non ci sono antidepressivi che tengano.

Tu muori dentro giorno dopo giorno.

La cosa assurda è che le persone che ti stanno accanto, ma non sono vicine a te e non vivono dunque la tua lenta agonia, non percepiscono nulla di ciò che ti accade.

Del resto come potrebbero?
Io mi vesto con cura, mi trucco, vado in palestra e fingo una normalità che non c'è.
Cercando di sopravvivere.

Nessuno sa che a volte non riesco neppure a camminare.
Che la sera anche ora che è estate ho una borsa bollente dietro al collo.
Che non posso più masticare e avere una alimentazione normale.

E in tutto questo spesso ti senti anche dire "Ma su dai, mica hai il cancro di che ti lamenti?!"

Facendo presente che mia madre è morta di cancro e mio padre ha avuto il cancro, posso far notare che al cancro si sfugge in due modi:
1) Si guarisce
2) Si muore

Ambedue le ipotesi,per quanto l'ultima sia spaventosa, portano ad una risoluzione del problema.

Io non l'ho.
La mia scelta è cercare di vivere dignitosamente, barcamenandomi tra alti e bassi.
L'unica alternativa è togliermi la vita. Cosa per me inaccettabile.


Solo chi vive sulla sua pelle il dolore cronico, può realmente capire cosa si prova.

E non esistono neppure gruppi di supporto...ci sono per l'ansia, per il suicidio, per il lutto, per il cancro, ma NON per il dolore cronico.
Ad oggi il dolore cronico è una malattia che uccide in silenzio.

E' vergognoso e mi ribello!!!!!!
La mia malattia è invalidante e ho diritto che sia riconosciuta e che sia in qualche modo affrontata come realtà presente nella vita di molte persone.

Vivere con il dolore cronico, vuol dire alzarsi la mattina sapendo già di avere solo 80% di energie di una persona normale.
Sapere che a metà giornata, quando tutti hanno circa il 70% delle energie, tu stai al 30% e dovrai quindi scegliere se andare in palestra o cucinare o dormire.
Non potrai fare tutto perchè NON TI BASTERANNO le energie che hai.
Vivere con il dolore cronico è essere consapevoli che se farai una banale tinta ai capelli, per una settimana dovrai rimanere a letto perchè il collo non ce la farà a reggere il peso della testa.

Questo è il dolore cronico.
Questa è la mia vita con il dolore cronico.

E se sono ancora qui, viva a portare questa testimonianza, è perchè HO LE PALLE e ho una forza che molte persone non hanno: persone che si perdono alla prima difficoltà, al primo problema incontrato.
Seppur banale.

Sono caduta e cadrò ancora e forse un giorno non ce la farò nemmeno più a sopportare tutto questo, dovendo anche affrontare altri problemi gravi (che purtroppo tutti dobbiamo prima o poi affrontare, ma magari con una marcia in più che a me manca).
Ma al momento in qualche modo sono ancora in piedi.

Alla faccia di chi mi dice che non ho diritto di lamentarmi.
Che mi autocommisero.

Il dolore cronico è una patologia invalidante, grave che porta alla morte dell'individuo: combatterò affinchè questo sia riconosciuto.

giovedì 10 luglio 2014

Balsamo arricchito capelli sani

Oggi vorrei parlarvi del balsamo.

Quanti balsami in commercio ci sono?
Una infinità...non si sa mai quale scegliere dato che sono tutti così diversi tra loro.

Quello che nessuno sa o che comunque molti non hanno l'accortezza di verificare, è che la maggior parte dei balsami contiene: tensioattivi, parabeni, siliconi e tutta una serie di schifezze che FANNO MALE e DANNEGGIANO il capello.

Sostanzialmente invece di curarlo e nutrirlo, lo rovinate.
Un balsamo siffatto, infatti, al momento dà un effetto visivamente gradevole, magari il capelli risulta districato e condizionato.
Ma alla lunga è deletrio e sfibra il capello, anche se sopra leggete che è "contro le doppie punte, "per capelli fini e danneggiati" etc.

Tutte favole.

Volete un balsamo buono?

Fatelo voi in due mosse.

Comprate un balsamo ecobio: ottimo rapporto qualità prezzo il balsamo o la cremia omia.
Potete sceglierlo all'argan o all'aloe, alla macadamia o ai semi di lino.


Diciamo che non ci interessa, dato che noi lo vogliamo usare soltanto come base.

A questo punto mettete in una ciotola un cucchiao o due di crema o di balsamo (dipende da quanto sobno lunghi i capelli) e aggiungete un cucchiaino abbondante di Olio di Mandorle dolci (se avete le punte molto secche) o di Germe di Grano (se volete nutrire i capelli).
Mescolate bene e applicate su tutte le lunghezze.
Evitate la cute se non volete ingrassare troppo i capelli.

Tenete in posa per 15 minuti e se avete tempo, avvolgete i capelli nella pellicola e scaldate con il phon (non fate sciogliere la plastica!).
In questo modo il balsamo penetrerà nel capello e l'olio curerà la fibra capillare .

Risciacquate accuratamente e come ultimo sciacquo usate mezzo litro di acqua e un dito di aceto di mele (se lo avete, aggiungete un olio essenziale a vostra scelta per profumare).

Avrete capelli morbidi e bellissimi, senza spendere una fortuna ma soprattutto con la garanzia di fare qualcosa di concreto per la loro bellezza!





lunedì 7 luglio 2014

Fagiolini alla finta besciamella

Avete voglia di un contorno veloce?
Non vi va di cucinare ma vorreste comunque servire in tavola qualcosa di saporito?

Oppure, come me, vi serviva qualcosa da portare a pranzo in ufficio?

Beh, in ogni caso, ecco una ricetta velocissima che farà inorridire gli chef di tutto il mondo :-D

Premetto come sempre che io uso latte di soia e farine integrali, nonchè margarina/olio EVO perchè ho problemi di salute.

Ma voi potete usare ingrendienti "normali" :-)

Prendete una scatola da 800gr di fagiolini lessati (o alternativamente lessate mezzo kg di fagiolini).
Scolate l'acqua di conservazione.

Mettete un pezzetto di burro (una fetta spessa un dito) in una pentola e fatelo sciogliere a fuoco lento.
Aggiungete di colpo i fagiolini, unendo tre cucchiai rasi di farina e latte qb (direi mezzo bicchiere).
Regolate di sale e mescolate senza rompere i fagiolini, finchè non si formerà una bella crema densa (circa 2-3 minuti).

Servite e GNAM ;-)

giovedì 3 luglio 2014

Crema corpo al cioccolato effetto abbronzante

Di recente ho finito di utilizzare una crema solida (un burro) all'olio di cocco e cioccolato comprato su bioveganshop, che mi ha lasciata davvero poco soddisfatta, considerando anche che 50ml costano 13.10 euro:


Quello che cerco è un prodotto davvero nutriente che sia contemporanemente "gustoso".

A questo punto ho pensato di farlo da me.

Le idee possibili erano due: usare il burro di karitè che è altamente idratante e nutriente oppure usare l'olio di cocco, meno idratante ma si assorbe prima.

Poichè volevo usare il cioccolato fondente, preferisco prendere il burro di karitè.

Il burro di karitè fonde in modo moooolto lento...anche se lo metteste nel microonde vi rendereste conto che ci vorrebbe molto per farlo sciogliere.

Quindi l'idea è questa: prendete un cubetto di cioccolato da 15 gr e fatelo sciogliere a bagnomaria.
Dall'altro lato fate sciogliere un vasetto di burro di karitè PURO senza conservanti, coloranti, aromi o altro.

Quando ambedue sono sciolti, unitee, sempre mantenendoli a bagnomaria e mescolatee benissimo.
Versatee il composto liquido in un vasetto di vetro (uno riciclato dalle creme viso e lavato accuratamente o quello stesso del burro di karitè, così non si contamina).

Utilizzatee dopo ogni doccia.

Poichè la crema contiene il cioccolato, l'effetto che si avrà sul corpo è 'abbronzante' in quanto la pelle tenderà a scurirsi.

Abbiate cura di fare assorbire bene per non trasferire la crema sui vestiti :-)